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Visualizzazione dei post da settembre, 2018

Pellegrini e mistici miopi

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Abbiamo incontrato un sacco di gente a piedi zaino in spalla che andava da Bilbao verso occidente. Da soli, in coppia, mai in gruppo, massimo tre o quattro persone insieme. Palesemente facevano il Cammino. Non lo so di preciso, ma arrivare a Santiago saranno almeno 600 km. Impossibile essere pellegrini etimologicamente: la strada segnata con la conchiglia di San Giacomo passa, in prossimità delle città, attraverso centro commerciali e sotto ciminiere e grandi serbatoi, e anche quando è per agros, per campi, tra i pascoli ondulati delle mucche a testa bassa, corre lungo il margine di buone strade statali. Ma oltre all'etimologia anche di significato non ne ho visto tanto: l'orientale con due iphone con gps satellitare e abbigliamento supertecnico non ha granché in comune col pellegrino con cappa e scarsella. Bastoncini in carbonio da nordic walking hanno sostituito il ramo dritto scelto nel bosco, e magari intagliato a coltellino nelle pause e l'immagine ne soffre.  Misti

Il lunedì dei barbieri. Sottotitolo: e allora le foibe?

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Mia suocera si chiamava Rosa, era una gran lavoratrice, devota al suo negozio più che alla chiesa dove la portavano le suore, per un martirio etimologico sereno e spontaneo, come dev'essere. Martire in greco significa testimone, ed ella era testimonianza materiale del miracolo economico, quando con intelligenza impegno e dedizione potevi costruire qualcosa, far studiare i figli e vedere i frutti del tuo lavoro. Che dello studio è un'altra storia. Frutti che si vedevano, non godevano, che c'era da lavorare, senza orario. Era bravissima a vendere, qualunque cosa, dal bottone alla pelliccia, e facile che entravi da lei per un bottone e uscivi con la pelliccia, dopo un'ora di chiacchiere e un caffè. Disponibile, instancabile. Ma c'era una cosa che detestava, del suo lavoro. Era quando la chiamavano a scendere in negozio la domenica mattina. Non se si trattava di vestire un morto, quello no, è dovere e rispetto. Ma per qualunque altra cosa, foss'anche fonte di b

rouge parfaite

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Mi stanno veramente nel cuore le redattrici delle pagine beauty delle riviste femminili. Vi rendete conto di che prova possa essere inventarsi tutte le settimane qualcosa da dire su un rossetto? L'inserzionista preme, ci vuole l'articolo, e che sia originale, stimolante, esaltante per le nuove tonalità e le nuove consistenze. E' solo un rossetto, un bastoncino ceroso più o meno rosso, che si passa sulle labbra, che vuoi dire di nuovo? Sono esercizi stilistici di grande virtuosismo, che Queneau e Eco si leverebbero il cappello (il secondo lo indossava per certo, il primo non so, forse un basco alla francese; ci si leva il basco quando si omaggia una signora?) Si passa da un registro ricco di tecnicismi iperspecialistici (contouring, strobing, per dire. Non sai che sono? Non importa, tanto sono da archiviare, la modernità si chiama all-over-matt) a suggestioni da avanguardia artistica: " ... colori piatti e immobili (ma pieni), come quelli basici della polaroid&quo

Le galline felici e le oche giulive.

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Etimologia traditrice! Non mi aspettavo questo da te! Ma, se stiamo all'etimologia, la gallina più felice è quella più feconda (ne ho parlato altrove, della radice fel e del succhiare, che mi pare tra l'altro azione meccanicamente impossibile per una gallina, ma lasciamo stare che potremmo aprire il tema dell'alimentazione degli animali d'allevamento - le farine di carne date agli erbivori, ad esempio, ma è tutta un'altra storia). La gallina più felice sarebbe etimologicamente la più feconda, quella che fa più uova, allevata in batteria con le luci sempre accese e il becco tagliato. Per comodità, questa gallina feconda ma di certo non felice, isterica, spennacchiata dall'altrui e propria aggressività, costretta, martoriata, per comodità la chiameremo la gallina di TINA. Tina non è la mia vicina della campagna, quella è Rita, anche lei aveva galline dalla incerta condizione esistenziale, libere ma pidocchiose, e aveva tacchini minacciosi, con lunghi bargigli ro

Se il cappello è esagerato, toglilo. Vanity Fair, la Palestina e TINA

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Quando passi un periodo duro e stressante, puoi prendere il magnesio supremo o il ginko (non quello di Diabolik). Se la situazione è grave (ma il caso è raro, tutto il resto è 90% fisima 10% marketing) la meravigliosa chimica farmaceutica offreefficaci  rimedi non vendibili senza ricetta medica, ma questa è un'altra storia. Io personalmente metto a frutto quel niente che so di mantra (che nella tradizione tantrica sono considerati la forma fonica della divinità,direzione uguale e verso contrario alla nostrale bestemmia, pure esercitata alla bisogna) e mandala (le cornicettte sul quaderno a quadretti come rappresentazone dell'universo, non c'è male) e mi svuoto la mente con azioni facili, meccaniche  e ripetitive, scopo le foglie, lavoro all'uncinetto, gioco a melette, ascolto Galassi che parla di come eliminare (fisicamente, ad uno ad uno, intendo) i diessini. Non guardo la TV, non leggo i quotidiani e nemmeno l'internet. Una monade, senza porte e finestre, anzi