Il lunedì dei barbieri. Sottotitolo: e allora le foibe?


Mia suocera si chiamava Rosa, era una gran lavoratrice, devota al suo negozio più che alla chiesa dove la portavano le suore, per un martirio etimologico sereno e spontaneo, come dev'essere. Martire in greco significa testimone, ed ella era testimonianza materiale del miracolo economico, quando con intelligenza impegno e dedizione potevi costruire qualcosa, far studiare i figli e vedere i frutti del tuo lavoro. Che dello studio è un'altra storia.
Frutti che si vedevano, non godevano, che c'era da lavorare, senza orario.
Era bravissima a vendere, qualunque cosa, dal bottone alla pelliccia, e facile che entravi da lei per un bottone e uscivi con la pelliccia, dopo un'ora di chiacchiere e un caffè. Disponibile, instancabile.
Ma c'era una cosa che detestava, del suo lavoro. Era quando la chiamavano a scendere in negozio la domenica mattina.
Non se si trattava di vestire un morto, quello no, è dovere e rispetto. Ma per qualunque altra cosa, foss'anche fonte di buon guadagno, non era un martirio, era una tortura. La domenica si sta a casa, si stende la cera sul marmo del salotto mentre il sugo bolle e la TV passa A come agricoltura, poi si mangia coi parenti e ci si riposa. La domenica ci si riposa, che tutta la settimana si lavora in apnea, cosa per lei difficilissima, l'apnea, intendo, dato che parlava ininterrottamente. Parlava soprattutto di persone, e le persone sono storie.
Me ne ricordo una, quella di tale Alfredo che, tanti anni prima, quando erano giovani, la domenica mattina andava a sedersi da barbiere in pigiama. Non era un matto o un tipo stravagante, era, giudizio mio, uno sbruffone arrogante che con quelle uscite in pigiama voleva mostrare e dimostrare a un paese miserabile del dopoguerra che lui era un signore, che aveva non solo il vestito ma anche il pigiama, mentre loro dormivano con le mutande di lana ed il prete nel letto gelato. Poi si andava a cambiare, ma dal barbiere ci andava sfilando per il paese in pigiama, la domenica mattina. Perchè i barbieri lavorano, la domenica mattina, e riposano il lunedì.
Io ho sempre pensato che fosse perchè per piacere e per rispetto (per santificare la festa, che è pure un comandamento) gli uomini volessero, la domenica, vestito buono, scarpe lucide e viso rasato di fresco e profumato con lo spruzzatore o con quelle due gocce intense che il barbiere rapido si versava sulle mani e poi massaggiava in faccia con una serie di schiaffetti dal basso verso l'alto. Poi la messa e la piazza, la domenica.
Invece pare che il riposo del lunedì dei barbieri sia legato a una macabra vicenda occorsa che dice a Napoli chi a Firenze, prendiamo per buona la seconda, così per simpatia, nel 1700, quando un giovane barbiere massacrò barbaramente (il legame etimologico tra barba e barbaro è incerto, e non è la mia scelta)  una prostituta, correndo poi a vendersi i suoi miseri averi (il vestito). L'avidità gli fu fatale più della crudeltà, lo beccarono subito e il lunedì stesso lo impiccarono in piazza. Tutti i barbieri, quel lunedì, tennero chiuse le botteghe per andare ad assistere all'esecuzione ed a questo si fa risalire la tradizione del riposo del lunedì per la categoria. Sarà. Tradizione, riposo, è questo il punto.
Da noi, per tradizione, la stragrande maggioranza delle persone si riposa di domenica: i bambini delle scuole, con le maestre e i bidelli, gli impiegati della banca e del ministero, i postini, gli idraulici, e i bottegai.
Non v'è chi non veda che è una tradizione di chiara origine religiosa, cattolica.
Ora, noi siamo un paese laico e multiculturale, e ci chiediamo se sia giusto riposare coi cristiani la domenica, quando i musulmani fanno festa il venerdì, il sabato gli ebrei e i barbieri il lunedì. Potremmo, con provvedimento draconiano, togliere di mezzo feste e riposi, oppure con leggero liberalismo berlusconiano, fare festa e riposare quando cazzo ci pare ( i lavoratori poco, e quando pare a noi, non a loro, che il contratto con la cooperativa è di otto ore settimanali, il resto è a chiamata, e senza il resto non si campa - neanche con, se è per questo). Natale e Pasqua li lasciamo? forse, che fanni i numeri, intanto il primo maggio è già andato, che non serve più.
Io per conto mio penso - oggi sono tutta con la b, buona e banale - mettiamoci d'accordo: può essere la domenica, il martedì, il giovedì o quando vi pare (meglio la domenica, che è tradizione), ma deve esserci un giorno in cui tutti, tutti quelli che si può, la stragrande maggioranza, siano liberi dal lavoro insieme. Perchè la festa va condivisa non solo dalle famiglie ma dalle comunità. Questo, buona e banale, penso.
(la canzone è terribile, ma non è questo il punto)

Per fortuna alle comunità c'è chi ci pensa, 7/24:
"L’ambizione è che i nostri punti vendita diventino luoghi di vita, luoghi dove le persone s’incontrano, si parlano, sul modello di un mercato rionale; perché i supermercati – per cercare di investire sulla qualità del prodotto – hanno perso un po’ del loro aspetto di convivialità, e il progetto h24 va proprio in questo senso"
Lo dice un signor direttore del Carrefour.
Per fortuna c'è chi si occupa non solo dei nostri consumi, ma dei nostri costumi.
Un centro commerciale è un po' come una nave da crociera,- tanti vogliono andare al centro commerciale la domenica e in vacanza in crociera - dove si sta chiusi con le luci artificiali e l'aria microfiltrata e ionizzata mentre fuori c'è un sacco di mare (e attenzione a passeggiare sul ponte e guardare il mare: l'aria è più inquinata del centro di Milano, con quello che buttano fuori i fumaioli, che se ne brucia di nafta per spingere i motori dei bestioni). E fuori del centro commerciale c'è il mondo, un sacco di mondo, o almeno dovrebbe esserci: forse vogliono chiuderti tra le corsie di un Carrefour perchè non tu veda che fuori non c'è più niente, non c'è più la città. Se la sono mangiata tutta.
Ma qui il problema non è il centro commerciale, è la domenica, è il modello che nel centro commerciale si realizza con facilità, altrove bisogna un po' spingercelo a forza, ma dai e dai ...
La domenica della tradizione, della nostra storia di paese cattolico, di un'Europa tradizionalmente cristiana, che non s'è potuto dire, la domenica che un laicismo ipocrita e fondamentalista considera retaggio di  società estinta o da estinguere, un vergognoso costume da estirpare, come, per dire, l'altrui tradizione delle mutilazioni sessuali, per il rispetto delle libertà individuali e della modernità.
Parcellizzare, per i più fortunati, eliminare, per gli ultimi, il riposo, convincere gli uni e gli altri che "non c'è alternativa" alla strada della liberalizzazione (ma se non c'è alternativa dov'è la parte libera della cosa?). Devi essere libero di andarti a comprare quel fottuto paio di scarpe la domenica, e sicuramente non è questa tua libera scelta che discuto (libera, purchè ci sia alternativa), è il modello che è reso possibile dalle otto ore settimanali a cinque euro netti, dalle cooperative che non hanno niente, ma proprio niente da spartire con i valori di solidarietà tra i lavoratori della cooperazione bianca o rossa delle origini.
Consumi (pochi) e costumi.
Quello che io discuto e finchè mi è consentito contesto è l'atteggiamento arrogante e sprezzante di chi dice anche "devo essere libero di lavorare la domenica". Certo può anche essere eccitante, se non sei uno scaffalista, magari coi figli piccoli e la madre con l'alzheimer che non sai chi gli pulisce il culo. Fai quello che meglio credi, la domenica, magari trova il tempo di perdere la spocchia (l'etimo da qualche parte l'ho scritto, ma sono disordinata e mi dimentico, vedi se ti ricordi tu dove).
E arrivo al punto: E allora le foibe?
E allora i dottori e gli infermieri? E allora i casellanti dell'autostrada? (a no, quelli non ci sono più, manco ti salutavano, ma che rottura ficcare tessere nella macchinetta!)
Dai su, qui non è manco spocchia, è il puntiglio di un bambino di tre anni, ma io te l'ho detto oggi c'ho le b di buonsenso e banalità.
Gli infermieri, i ferrovieri, i baristi e i proiezionisti del cinema lavorano la domenica. Anche i vigili urbani di Roma, se non presentano il certificato. E' il contratto sociale, bellezza. E la baracca va avanti (col festivo pagato, la rotazione dei turni e i riposi dovuti).
La baracca, con bella metafora finale, è come una di quelle belle piramidi che fanno nei supermercati chessò, con le scatole dei cereali. Se le scatole che stanno sotto le hai svuotate e le hai pestate, ti casca tutta la scenografia. Non sia mai che si veda quello che c'è dietro.
Fateli riposare, la domenica. Facciamo festa.

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