Il cioccolato Ghana, Sofia Loren e Niki Vendola, che mai avrei pensato nel mio blog.

Il banco del salumiere era altissimo. La bottega piccolissima. con tutte le pareti coperte da scaffali a molti piani pieni di tutto. Per arrivare a prendere le merci in cima la signora Luisa usava un bastone con una pinza. Lei stringeva una molla sull'impugnatura e all'altro capo del bastone una manina afferrava l'oggetto, che poi, nella complicata traslazione solitamente volava giù e bisognava essere lesti a fermarne la caduta. E il banco era altissimo, così usava e dietro il bottegaio stava su una pedana. Non solo agli occhi di una bambina dell'asilo. Così usava: i bambini in età da asilo andavano a fare la spesa, per le quattro cosucce quotidiane, coi soldi contati o facendo segnare che poi passa mamma. Io andavo sempre da Lillo il macellaio per mezzo chilo di fettine o mezzo chilo di bollito, e all'alimentari, la signora Luisa appunto, per un etto di prosciutto (con annessa disputa con mio fratello che sosteneva si dicesse prociutto, in italiano, mica dovevamo parlare dialetto), lo zucchero o il caffè. Lo zucchero e il caffè mancavano sempre, dio sa perchè. Sul banco c'era nella stagnola dorata, il blocco del surrogato di cioccolato. Anzi due. Uno bicolore e uno con le nocciole, quello che piaceva a me. Quindi è un ricordo facile, piacevole, anche se non mi ricordo come venisse tagliata la nostra fetta dal lingotto di "cioccolato" - immagino con lo stesso coltello del formaggio dopo una strusciata sulla parannanza della signora Luisa, anche se non lo mangiavamo spesso, perchè il surrogato si sa che è una schifezza. Lo era l'autarchico surrogato di caffè, di cicoria, lupini, orzo mondo, financo di ghiande o di fichi, che puzzava nella napoletana dei miei nonni. E come lo sono altre surroghe moderne che pure qualcuno definisce civili.
Lo faccio un etimo tendenzioso, su surroga.
Surrogare deriva dal latino, composto di sub - sotto - e rogare -  chiedere, domandare.
L'idea della sostituzione dell'uno con un altro, che porta in sè una marca di inferiorità, di minore qualità (la surroga di un vicario rispetto al titolare di un incarico, o della cicoria per il caffè) io non ce la vedo, nell'etimologia. Nell'uso sì, eccome.
Potrei, mi piacerebbe, dilungarmi sui surrogati di cioccolato, quelli senza burro di cacao, che adesso possono dirsi di diritto cioccolato, uno dei regali che ci ha fatto l'Europa,  ma non posso, che lo sai di quali surroghe mi urge parlare. Quelle che chi può, perchè non può, si compra. Che lo sai tutto si può comprare, se puoi pagare.
Surrogata, per me, significa a richiesta. E un'immagine di madre surrogata ce l'ho chiara, e un esercito di scugnizzi ne canta la potenza generatrice per i vicoli di Napoli. E' Sofia Loren splendida Adelina.
  Adelina vuole un figlio (lascia stare perchè) e nonostante le debolezze del povero Carminiello, a  richiesta (sì della pubblica autorità, ma lascia stare, ti ho detto, arriva al punto), a sua propria gentile richiesta, con fatica, con gioia, con scherno della suddetta autorità)  Ten 'a panza! Ten 'a panza!
Il figlio le serve ( a molti servono i figli, per i più disparati a volte disperati fini - che non mi stare a raccontare l'amore, lo accolgo, gli dono, si sa che ti serve per te) e se lo fa. Così funziona. Non si surroga, nel senso proprio, non si compra, non si paga. Al massimo Adelina gli dà le sigarette fresche fresche al professore che sostiene Carminiello.
Ten 'a panza. E chi non può non può.

Ieri oggi e domani.


PS. Ho sentito deliri giustificazionisti che dicevano che non si compra il figlio, si paga la gravidanza... Come sempre la pezza è peggio del buco e sia chiusa qui.

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