Profondissima quiete

Réquiem aetérnam dona eis, Dómine,
et lux perpétua lúceat eis.
Requiéscant in pace



Per dare un'apparenza di ordine al sedere in file rade e diverse nei banchi della chiesa, il sacerdote dritto al leggio come un maestro d'orchestra fa recitare gli Ave del Rosario alternando i gruppi. Cominciano le voci di sinistra con Ave Maria,piena di grazia, rispondono le voci di destra,  che la penombra vespertina confonde i volti, con Santa Maria, madre di Dio, e così avanti.
Nel rosario dei cento requiem, cento volte si deve ripetere la preghiera per i defunti, necessariamente  precipitose e smozzicate in un brusio continuo che all'amen prende fiato escono le parole. In latino. Ma le anziane, disperse tra i banchi non casualmente, ma seguendo precise logiche di alleanze e inimicizie tra vicine e cognate, generalmente superstiti al coniuge, sanno di morti più che di lingue morte, e capiscono il senso.
Requiescant in pace

Requia materna dona isso domina
tu vide che sparpetuo lucetteis
requia schiatta in pace
ammen.
Requia e schiatta in pace.

Tradotto, trova pace e crepa in grazia di dio.

L'eterno riposo.

Un confortevole anticipo se lo prendono gli ospiti della residenza per anziani - aka casa di riposo - dove è curata con professionale amorevolezza mia madre.
E' una bella villa antica con un grande pettinatissimo parco. Un viale lo attraversa da cima a fondo.  Si chiama, come indicato da marmorea targa su ornato palo in ghisa, "viale dell'accoglienza" ( ma negri non ce ne sono, nè tra gli utenti nè, strano, tra il personale) e percorrendolo incontri la grande statua del cristo benedicente, la fontana monumentale con alti zampilli che il vento fa schizzare fuori della vasca, il conviviale bersò su cui si arrampicano tralci di Kiwi, la piazza che si apre sulla sinistra - il nome non lo ricordo, la serra, la voliera, infinite siepi di rose, e via dicendo, quasi un lusso a prezzo convenzionato che anche le prefiche della parrocchia potrebbero permettersi, se non fosse che la pnsione paga le rate della golf del nipote tanto bravo.
Il vecchio Marino, sorridente e appoggiato al bastone, che è un privilegiato, non gli servono il girello coi freni al manubrio, come una bicicletta, o sedie di ogni modello e funzione, che confronti e a volte invidi passeggiando nel parco, si complimenta con me per i progressi compiuti dalla mamma. Qui fanno i miracoli, mi dice. L'aeternum è rimandato, per il momento. Mi sorride, Marino, e continua a camminare fino al cancello, poi si volta e risale tutto il viale. Il viale del tramonto, ti vien da pensare. Ma che tramonto, qui resta solo il vago chiarore dell'ultimo crepuscolo. Dal cancello secondario, elegante e discreta, esce ogni tanto una lunga mercedes grigia. La lista d'attesa è piena e procede, come le giornate degli anziani, che più compiacenti che coinvolti svolgono le diverse attività. I più sembra che, con delicatezza, senza nulla chiedere, vogliano soltanto riposare (poi ci sono le vecchie bisbetiche che non sopportiamo nè io, nè i pur sempre disponibili operatori, nè mia madre che pur nell'afasia, aprassia agnosia e una a davanti a qualunque altra cosa, riconosce e gratifica di smorfie insofferenti - ma dei singoli parlo un'altra volta). I più vogliono riposare, stanno lì apposta. Ma al riposo non hanno diritto. Etimologicamente, intendo. Perchè l'etimo di riposo - sai che la stiracchio un po', ma non invento - è lo stesso di pausa. Repausare, come prendere fiato tra un'attività e l'altra, come una tregua. Ma non c'è tregua, non possono aver tregua, che la guerra è persa, non riprenderanno mai le ostilità (se non quelle delle bisbetiche che però mai si sono interrotte, variando solo i nemici), né le più belle attività.  Lo sa il saggio Marino, che nonostante i miracoli, questa non è una pausa, non resta che aspettare passeggiando lungo il viale, che non ha uscita, solo attraversa il parco.
E' fatale a chi nasce il dì natale, non è un gran verso, ma la collina è quella, nasci in covile o cuna, ma comunque, da queste parti tutti lo sanno, e mi sovvien l'eterno.



Era mia intenzione, dato che il luogo di cui parlo è in ogni caso più che positivo e dignitoso e rassicurante rispetto a situazioni che possono essere e sono estremamente difficili, addolcire il finale e il fine vita offrendo ai miei vecchietti non riposo ma quiete, che è calma, serenità, pace, anche in assenza di movimento, se non assistito da ruote variamente posizionate. Ma l'etimo è bastardo e beffardo, stramaledetto.
La radice originaria KI o KAI, sia detto in breve, esprime un'idea di stabilità; in latino diventa QUI o CI, da cui certo quieto, tranquillo e domicilio, ma anche cimitero, coma, cubicolo... 
Io ti rinnego.


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