La nonna Cristina e Ugo Foscolo

Mia nonna faceva la marmelllata con fichi e pere. Chiudeva i vasetti con un tappo di zucchero cristallizzato e un disco di carta oleata prima della capsula a vite. A me quella marmellata faceva propro schifo, c'era la frutta a pezzi e granulosa, pere e fichi del giardino in cui non metteva mai piede. Mangiavo solo il tappo di zucchero, che rompevo col manico di un cucchiaino. Oggi mi piacerebbe, ma non per nostalgia dell'infanzia, solo perchè se da bambina ciucciavo il latte condensato Nestlè dal tubetto, e di quello (e di pochissime altre cose) ero golosa, con gli anni ho imparato ad apprezzare molto di ciò che da piccola mi disgustava, compreso un buon formaggio invecchiato accompagnato dalla composta di frutta.
Mia nonna faceva la pasta al forno, e ci rompeva un uovo sopra, e il capretto con le patate, e ci rompeva un uovo sopra. Non mi piacevano né l'una né l'altro, ed andavo a mangiare da mia zia. I capretti erano appesi spellati fuori delle macellerie, e sembravano neonati impiccati.
Mia nonna aveva una treccia sottile e lunghissima, che portava arrotolata intorno alla testa fermata da grosse forcine di tartaruga. La mattina presto dovevi spiare per vedere la treccia sciolta (la treccia, non i capelli, quelli non li ho mai visti) che le scendeva fin oltre i fianchi.
Mia nonna aveva rughe vellutate e nei pelosi sul viso. Non era bella, ed è sempre stata vecchissima, non come può essere qualunque adulto agli occhi di un bambino, per cui sei grande a sedici anni e dopo i trenta sei vecchio (prova a pensare alla tua maestra) o come le donne di quel tempo che a cinquant'anni erano senza denti, canute e tutte storte, ma proprio vecchia del suo, e con tenacia è più o meno arrivata a compiere il secolo. Io credo ahimè di somigliarle, non so di preciso quanto, perchè mia nonna non si faceva fotografare.
Non avendo foto di mia nonna, qui la prozia Assunta, con mio padre e sua cugina Prospera

Mia nonna, quando moriva qualcuno copriva gli specchi, ma non moriva mai nessuno della famiglia, che tutti in famiglia con tenace disubbidienza civile irridono le tabelle di Boeri e si intascano la pensione fino a quando sono loro a stufarsi di campare, e ce ne vuole.
Mia nonna, io non mi ricordo neanche una delle parole che posso averle detto, e che lei può aver detto a me. In una dinastia matriarcale che è finita con lei, avendo ella stessa destinato le figlie a funzioni non di governo, la sua autorità e il suo controllo erano assoluti. Non che temessi la sua autorità, solo mi era estranea.
Mia nonna la vedevo un paio di volte all'anno, essendo, nel privilegio della classe media, non emigrati ma trasferiti lontano. E quando io me la ricordo, la sua storia era già tutta compiuta, coi drammi e gli eroismi naturali della terra, delle bombe e di storie uniche e comuni. 
Mia nonna non usciva di casa, mai. Si fermava sull'uscio e a me sembrava normale. Mio nonno faceva la spesa e lei la controllava disponendo sul tavolo gli involti.
Mia nonna tagliava grosse fette di pane appoggiando la forma dove una volta aveva il seno, poi lo conservava, il pane,  in una sacca di tela. La sera lo tirava fuori dalla credenza e lo lasciava sul tavolo, per antica abitudine più che per superstizione.
Mia nonna era più o meno questo per me. Non posso dire di averle voluto bene. Non ho mai visitato la sua tomba. 
Ma mia nonna è un monumento. 
Non a lei stessa, che, l'ho detto, era schiva e non voleva esser rappresentata, ma alla famiglia dei vivi e dei morti, alla storia che non ha mai raccontato, al tempo, alle donne, se posso dire, forti custodi, esperte del mondo senza varcare la soglia di casa (e la scelta è il giudizio). 
Mia nonna, e mi perdoni, è un foscoliano sepolcro, è la celeste corrispondenza di amorosi sensi con tutto ciò che ci ha preceduto,e il nostro conforto,  è l'urna dei forti che, dio volesse, a egregie cose l'animo accende anche se l'animo forte non è. Perdoni il mio amore senza affetto. La trascende, e se l'ho capita, le sta bene: controlla che  ami, non vuole essere amata. Vuole, stanca di guerra, stare tranquilla. "Fateme sta senza penziero" diceva, appoggiata alla porta vedendoci andare. E io porto il suo nome.
Il suo muto universale assoluto  governo, e la sua arcaicità di donna dell'ottocento  concorda con un'etimologia possibile che si riporta al "nana", uno dei nomi della Grande Madre. Si merita un culto maturo,  ed in più le regalo, per nuovo affetto, dolcezze di lallazioni infantili: mamama nanana. 


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