Questa estate me ne vado al mare. Con etimo diverso.

Dopo anni sono tornata al mare.
Tutti i giorni lo vedo, e lo guardo, dalla mia finestra, alzo li occhi ed è lì con tutti i colori del mare, e si muove e si increspa e luccica o si incupisce.
Ma per anni non sono andata al mare, restando nell'ombra, come le donne di un tempo, tra muri e il po' di verde di piante in vaso.
Quest'anno ho detto andiamo al mare, quello di sempre, e niente è cambiato. Quasi. Non c'è più la sabbia grossa, nè i ciottoli grossi da lanciare di piatto  a rimbalzare sull'acqua, ma rena polverosa da cantiere, riportata per ricostriure quello che d'inverno le onde si mangiano, buona per la molazza, non per la spiaggia. Ma tant'è. C'è la luce e il profumo del mare. E' spiaggia libera, senza ombrelloni e la mattina presto non c'è nessuno, solo un pescatore che lancia e lancia, e si sente lo sguishhh della canna. Per lanciare lontano ci vuole tecnica arte e sensibilità, e tanto esercizio.
Poi arrivano. Se pensi al mare, soprattutto se non sei pratico, pensi alla bella gioventù, alla pelle dorata su toniche membra esposte, a un costumino che incornicia con un tocco di colore le rotondità dei seni e sottolinea la lieve convessità che scende dall'ombelico. Adolescenti  col pallone da beach guardano pieni di meraviglia coetanee dalle lunghe gambe.
bambinomuere.com

Bimbetti coi braccioli gonfiati come tozze ali multicolori si muovono incerti nella schiuma della risacca. la mamma si tuffa e scompare per un lungo attimo poi riemerge e guarda il suo piccolo, che non teme più l'acqua e l'affronta e si spinge a cagnolino fino raggiungerla. Galleggiano leggeri e sicuri, senza muovere la superficie del mare. Ogni tanto il bimbo ride, forse anche la mamma, ma non si sente, che sono i bimbi a ridere forte, perchè forte è la loro felicità.
Ma non è questo il mio mare. La mia spiaggia è spietata, è uno specchio con la luce forte. La mia spiaggia è onesta e fedele, ti dice quello che è. Il mondo e la gente, intendo.
Arrivano, e non troppo presto e non sono le mammine coi pupi, che pure alla TV e sui giornali da sempre la menano che devono scendere per tempo per beccarsi i benefici e non i danni dell'esposizione solare e dei bagni di mare. Ma non so, andranno altrove. Da noi scendono, adesso come negli anni passati quando andavo al mare, sicure e determinate, pur affondando per la massa in bilico sulle ciabatte nel fastidio dei sassetti tanto polverosi quanto aguzzi, a conquistare i loro metri quadri di rena riportata. Talvolta trasportano in proprio, talvolta hanno marito al seguito, ombrellone e sediola, e sulla sediola si impostano, a dominare il territorio.
L'interno coscia pende in pieghe disordinate come una gorgiera di vacca dall'elastico stretto del costume e come una vacca ha il ventre gonfio e teso.
Mare. Si può far derivare dalla radice sanscrita mar- morire.
Il mare dove vado io ne è la prova. Mare, da mar- morire, distesa sterile e infeconda. Andiamo al mare, andiamo verso la morte.
Arrivano alla spicciolata ma poi si radunano in gruppi, ciascuna con la sua sediola, col suo piccolo ombrellone che il marito - in assenza fa da sé, non le mancano certo le forze - ha avvitato nella sabbia. Ma non sono loro, la morte. Anzi. Pressochè mummificate, non sono invecchiate di un ette da sei anni fa, quando andavo al mare. Si bagnano con un certo entusiasmo, oggi è una tavola, pare un brodo, è bello è bello, vieni.
E chiacchierano. La spiaggia non è affollata e sento perfettamente i discorsi, a più voci, forti, quelli sordi sono i mariti - che vorrei essere un etnografo, di quelli che giravano col magnetofono a raccogliere storie. Loro parlano insieme, ma ciascuna per sé. L'argomento è comune, ma ciascuna parla per sé, ripetendo in loop quello che ritiene il punto centrale.
Ieri hanno avuto una cena in campagna.
"Tutta roba di casa, l'arrosto, il coniglio, l'agnello, l'oca, l'insalata. Fortuna che non ha fatto la pasta (che significa: migragnosi, fai una cena senza manco un piatto di pasta?!) Tutta roba di casa. Tutta roba di casa"
"Il terreno mi sa che è in affitto, non è il loro il terreno. Mi sa che è in affitto"
"Aveva due fabbriche, poi il commercialista li ha consigliati male. Aveva due fabbriche, adeso una, il commercialista ...."
"ha fadigato tanto, tutta roba di casa, il pollo, il coniglio...."
"E' in affitto, il terreno dice che è in affitto, sopra a Gatto...."
"Bravi, bravi, due fabbriche c'aveva..."
"Tutta roba di casa"
E via, ciascuno per sé in un autismo condiviso, e solo io che non c'entro niente posso mettere insieme il racconto della cena in campagna.
Il mare. La morte. Non sono loro, naturalmente. Loro sono quanto resta di vivo, ciò che tenacemente resiste alla catastrofe. La morte è il resto, l'assenza, il vuoto di mamme, di bambini, i ragazzi col pallone da beach e fanciulle dorate in costumino. Manca il piacere, non agli occhi, alla mente, dei terzi eventuali  naturalmente, che sulle sediole (i mariti, quando ci sono, in piedi o per terra, marginali) del piacere residuo ci si giova.
Il mare, mar- da cui in sanscrito maru, deserto, sterile e infecondo di speranza, di futuro.
Il mio mare, per lo meno, limpidissimo specchio, e per anni non sono andata al mare, velando lo specchio, se conosci l'usanza.
E' ancora tempo di ferie, e forse il tuo mare ha un'altra etimologia, un'altra radice mar-, foneticamente simile ma che significa scintillare, risplendere. E' caldo e calmo il mare. Vedi i sassi del fondo, e pesci sotto di te.


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