Il figlio del soldato

"Gli ha comprato un fratellino!"
"Ha comprato un bambino!"
Sentivo questa signora del nord parlare così di una donna che aveva partorito. Ma io sapevo che i bambini non si compravano belli e fatti, ero tanto ingenua quanto sicura, i bambini uscivano da quel buco che le mamme hanno in mezzo alla pancia. L'ombelico (che se no che cos'è e a cosa serve?). Quando  è pronto l'ombelico si dilata e il bambino viene fuori di là (perchè l'ombelico lo avessero anche i maschi, non ricordo di essermelo mai chiesto).
Ma comprare non si comprano, pensavo, e mi infastidiva l'espressione. Credeva forse la signora del nord che siccome ero piccola non sapevo niente? Ho poi scoperto che si dice così, comprare, senza allusione ad alcun commercio che non sia quello carnale, in molte parti d'Italia e ho anche scoperto che non si nasce dall'ombelico ma attraverso apposito canale o, se è sabato, da un piccolo taglio orizzontale in zona pubica, che non c'è tempo, nel week end, di aspettare i naturali travagli.

Sapevo che i bambini si potevano in qualche modo affittare: ne conoscevo una, un po'm più piccola di me, che aveva padre, madre e una schiera di fratelli, ma dietro compenso continuativo, viveva con una coppia senza figli, genitori di fatto.
Anche se lo ignoravo, comprare certamente si poteva, allora come oggi, oggi di più e in variegate forme, e non nel senso dialettale della signora del nord, che rende asettico un processo di scambio di umori corporali, acque rotte (sentivo i racconti e immaginavo un evento catastrofico e imponente come  il mar rosso che si apriva ma non passava Mosè, solo un bimbetto a testa in giù), sangue e placente espulse, ma proprio secondo la definizione da dizionario: "acquisire la proprietà di un BENE pagando un prezzo convenuto" e il senso etimologico: da comparare - parare, procurare: mi serve qualcosa e me lo procuro -  dopo aver comparato il costo al valore della cosa.
Si compra con altri scambi e altri percorsi
Ma mentre prima si compravano bambini pret-a-porter, adesso va di moda il tailor made.
E' così.
Ma ho un po' di confusione.
Si può fare quindi si fa.
Con l'interesse prevalente del minore.
Di fronte al fatto compiuto.
Il sindaco constata e annota l'atto.
Di fronte al diritto alla genitorialità.
E chi mai vorrebbe negare un diritto?
Dimmi se pensi che la genitorialità è un diritto.
Dimmi se pensi che la genitorialità è un dovere.
Ho un po' di confusione.
Perchè poi, etimologicamente, hanno ragione loro, che nell'etimo di "padre" e "madre" non mi pare ci siano connotazioni di genere: padre ha la stessa radice di pane, e indica protezione e nutrizione, madre, pure è bello, ha, come mano e materia, la radice ma- che ci dice misura e ordine. Niente maschi e femmine, ma organizzazione.

Io non lo so, ma in materia piuttosto che di diritti e di doveri parlerei di caso e necessità.
Che non si oppongono ma spesso vanno insieme. Quello che più mi interessa non è il ragionamento, è il genitore per caso, e per necessità della natura, non della fisima, come quella Mattea che conoscevo. Una strana ragazza con un nome da maschio, una di quella di cui si potrebbe dire che "il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto di provenienza". E infatti aveva precocemente, molto precocemente figliato. Qualche volta la frequentavo, senza darne notizia, che certo mamma preferiva gli sciscì del liceo francese, e Michele Serra, apriti cielo, ne ho riportato danni, puoi starne certo. Lei si tirava appresso 'sto bimbetto o lo guardava distrattamente giocare in un branco di calzoni corti, gambe secche e sandaletti di gomma. Chiacchieravamo vai a sapere di che e lei mi prestava i fumetti delle bustesorpresa, per la maggior parte illeggibili, ma mi piacevano Michel Vaillant e Billy Bis. I bambini più che altro correvano con foga animale, e con animale eccitazione azzannavano il debole. Che credevano essere il figlio di Mattea:
"Tu non ce l'hai il padre!"
Mattea era giovane, e capirai che vita poteva aspettarsi per suo figlio, se solo ci avesse pensato, non aveva niente, non aveva letto libri, ma sapeva le risposte e quelle aveva offerte a suo figlio.
"Mio padre è morto in guerra!" strillava una risposta triste e orgogliosa, il piccoletto, ripetendo quello che gli aveva detto la madre e lasciando muta la torma delle iene da asilo.
"Mio padre è morto in guerra". Forse erano stati i fumetti di guerra dei giornaletti insustati delle bustesorpresa ad aver ispirato a Mattea l'improbabile geniale immagine di un padre eroe soldato ben spendibile tra bambini di quattro anni da un figlio del caso e di un eccesso alcolico. Eravamo la prima generazione a non aver visto la guerra (evidentemente questo primato non ci piaceva, perchè siamo riusciti a perderlo in pochi anni) ma Mattea se ne inventò una per dare una risposta a suo figlio. Perchè nella vita, a volte, più che l'amore contano le risposte. E una ragazza barbara, coi capelli tinti in casa legati con l'elastico aveva trovato per il suo bambino una risposta che lo difendeva come l'elmetto di un soldato. Ora puoi sempre saltare su una mina antiuomo Valsella Meccanotecnica, ma insomma la testa ce l'hai al riparo.
Tutto questo per augurare a famiglie più colorate, eleganti e studiate, che hanno più libri che giornaletti, e di denaro non ne parliamo, rispetto alla ragazzamadre con cui chiacchieravo sedute (lei, te la immagini, calzoncini strappati, gambe larghe e gomiti sulle ginocchia) sui gradini del suo palazzo, di trovare risposte altrettanto efficaci per azzittire le iene da asilo, che l'amore non basta.

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