La lingua, la fuga e la salvezza

Credo che questo in cui vivo sia un paese pieno di pericoli, le case un inferno. La gente continuamente in fuga. I bambini in cerca di protezione, i beni costantemente esposti a rischi.
Eppure in apparenza è un paese normale: un grazioso e curato centro storico, morto come impone la moderna civiltà del mall, silenziosi quartieri residenziali, con case cresciute a casaccio, privi di servizi al punto giusto, un bel parco senza bambini che giocano, le chiese, le scuole, i capannoni vuoti nelle zone industriali, con l'erba che cresce alta.
Insomma, un paese come tanti, e si potrebbe star bene.
Ma poi sento la gente parlare, e c'è qualcosa di strano, qualcosa che non ho mai visto altrove. Ascolto, e resto incerta  di fronte a quelle che mi paiono le due uniche possibilità: o la viltà è generalizzata quanto il pericolo, o è tutta una galera, con un piano per l'evasione dettagliato e vigilanza inefficace.
La gente scappa.
I bambini scappano da scuola, gli adulti scappano dalla fabbrica, "stasera scappi?" senti domandare, "Mario non c'è, è scappato" ti comunicano. L'evasione può essere solitaria o collettiva, se è un'evasione, perchè potrebbe anche essere il panico che si diffonde e determina un fuggi fuggi generale, stranamente ordinato, in apparenza: "è scappato con quelli della palestra", e con ogni mezzo "è scappato in macchina, in bicicletta, a piedi"....
Il dato da investigare è che qui tutti scappano, soprattutto da casa.
Resta da capire il perchè.
E allora chiedo, non sia mai ci sia davvero qualche pericolo da scampare, chiedo a questa gente che parla una strana lingua sbracata, piena di dittonghi "ou" che non esistono in italiano:
il mouro per dire il muro, il foumo per dire il fumo, e quante ne vuoi, il poustino, la bouttiglia, il couniglio (per esattezza, counillo).
Chiedo: "Perchè scappate sempre?"
Risponde, sfuggente: "Cosa so, domandalo a Lia!"
(Quando si trasferì nelle Marche, mia madre pensava che Lia fosse il nome più diffuso, invece lia è il femminile di lou, lou e lia, lui e lei)
Lia non scappa, e risponde "Lasseli scappa' un boucco'!" Un boucco'? Un boccone?  Si contendono un boccone? Scappano per fame?
Non capisco, ma lia mi spiega: si bocca e si scappa. Si bocca quando si entra (ancora la bocca, la fame rimane pertinente), e si scappa quando si esce. Bocca un boucco', si può dire? Perchè no? Un bouco', un pezzetto, un pochettino ( un morceau, avrebbe detto il francese papalino che qui perse la battaglia) di tempo, che anche il tempo si assapora, si consuma a pezzetti, a volte si divora, o si disperde in molliche. A volte a me sembra che di tempo me ne manchi non un boccone, ma il piatto intero, ma se ho saltato dei pasti, pazienza, adesso devo pensare a scappare, non ai bocconi o al boccare.
Lia mi tranquillizza, pericoli o brutture particolari non ce ne sono, e intrepidi o codardi, grandi o piccoli scappano più o meno allo stesso modo; se un bambino scappa di casa alle tre del pomeriggio
del sabato, facile che va al catechismo, non c'è da chiamare i carabinieri. Scappare è uscire.
Eppure non me lo leva dalla testa che c'è una urgenza, nell'espressione.
(vuoi l'etimologia? Pronti! Scappa: ex cappa - uscire dalla cappa, il mantello, gettarla via per correre più libero, o in alternativa, dal tedesco ek - klappa, trappola, uscire dalla trappola).
E che la casa sia una trappola (la scuola o la fabbrica, non ne parliamo nemmeno) visti certi rapporti è possibile, ma è così universale da determinare la lingua?
Che scappare sia la salvezza?
Questo è sicuro.
Se il video funziona lo ascolti da Gaber direttamente, se no te lo dico io e poi te lo guardi qui: la strada è l'unica salvezza.

E' sicuro, dunque, ma in questo strano paese non vale, perchè qui scappare e salvarsi sono praticamente alternative, a meno che non si giochi a nascondino per strada , come bande di ragazzini in lontane epiche sere d'estate.
Qui se scappi non ti salvi, e se ti salvi non scappi, qui si contraddice Gaber e ci si salva "nelle case dove noi ci nascondiamo". Perchè torna quella percepita sensazione di insicurezza da cui sono partita.
Salvarsi, in questo paese, significa nascondersi.
Non ha senso che io vada casa casa a spiegare che nascondersi non è mai la salvezza, neanche nel gioco dei bambini, perchè alla fine devi uscire, scappare a fare tana.
Scappare sì, se dai vita a un corso solitario, e saluti chi passa.





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