Il momento più brutto del viaggio - e un'incerta etimologia

Se mi stacco da te, mi strappo tutto

Se mi stacco da te, mi strappo tutto
Ma il mio meglio (o il mio peggio)
ti rimane attaccato, appiccicoso,
come un miele, una colla, un olio denso.
Ritorno in me, quando ritorno in te
(e mi ritrovo i pollici e i polmoni).
Tra poco atterro a Madrid:
(in coda qui all’aereo, selezionati miei connazionali,
gente d’affari, dicono numeri e numeri, mentre bevono
e fumano, eccitati, agitatamente ridendo).
Vivo ancora per te, se vivo ancora.


Edoardo Sanguineti







Sempre, quando parti qualcosa di te resta. Resta a chi resta e manca a te che parti.
Non piaceva partire, al poeta? 
Non lo so, lo cito perchè mi piacciono gli ultimi versi,  perchè mi fa specie ripensare ai viaggi quando, in coda all'aereo si fumava, compreso lo steward (dall’antico inglese stīweard, composto di stī «recinto, casa» e weard «guardiano») Alitalia che parla romano stretto - quello non è cambiato, se non nel colore della divisa. E se voli low cost, come ora si fa, per Madrid, se vuoi bere te lo devi pagare.
Mi fa specie, ma senza nostalgia, che ti bruciavano gli occhi, in coda a quell'aereo, e da certi scompartimenti fumatori dei treni scendevi puzzolente come una ceneriera. 
E per omaggiare Sanguineti ogni occasione è buona.

Non parlerò di viaggi, che è un gran tema, la scoperta, il piacere, l'arricchimento, il diverso, che di questo parlano tutti, anche quelli che non sono mai scappati da casa (voce dialettale, attenzione, che significa usciti, che mi ha sempre dato da pensare, perchè insomma se ne deduce che qui, in casa, ci si sta stretti o costretti) o sono andati al villaggio di Sharm, che era, era, l'acquario di Allah. 

Parlo solo, se mi vuoi ascoltare, del momento brutto del viaggio, che c'è sempre. Per alcuni (pochi) è la partenza, che il distacco è una penosa necessità, per alcuni è il ritorno, che il viaggio è una specie di gita a Posillipo, παυσιλυπος, che acquieta il dolore, pausa degli affanni, ma appunto, se è un viaggio, è solo una pausa, una vacanza. E poi si torna daccapo. Per qualcuno è quel momento di assoluta isteria, quando ti trovi stanco ed hai perso la strada, o non trovi niente da mangiare che non siano puzzolenti brode esotiche, quando il caldo o la pioggia ti sfiancano, o la diarrea ti svuota anche l'anima, e capita a tutti, in ogni viaggio, quel momento. Se viaggi solo ti disperi, se in compagnia litighi, ci sta.
Sempre ci sono momenti brutti, in ogni viaggio, bisogna saperlo prima di partire.
Ma il momento più brutto è universale, è uguale per tutti, anche se non sempre capita.
E' quando nel maledetto aeroporto, a te con la testa piena dei mille pensieri che accompagnano il ritorno, il tizio in divisa prende la valigia e la apre.
Niente di che, fa il sui mestiere, e tu non hai niente da nascondere, così dicono quelli che sono a favore di telecamere in ogni cantone e intercettazioni generalizzate. Come Larry e Sergej, e la faccia pulita di Zuck, e Jobs, stay hungry, stay foolish, ma più che foolish, scemi, che gli altri almeno ti danno qualcosa "a gratis", lui pure da morto s'è sempre fatto ben pagare, tutti loro, tutti i momenti aprono la tua valigia.
E nella tua valigia non c'è niente che non va, solo ci sono le tue mutande zozze buttate alla rinfusa, e magliette sudate, che poi le lavo a casa, e il souvenir per mamma avvolto nell'asciugamano, per proteggerlo dagli urti, e le medicine, gli anticoncezionali, un mezzo rotolo di carta igienica schiacciato. 
Io mi vergogno. 
Il tizio coi guantini tocca tutto,  estrae, apre, non che a lui interessi, ma a me sì. Sta perquisendo la mia vita, i miei affetti, i miei difetti, e a me non fa piacere, è roba mia, non le cose, che, per carità, sono cose, ma lo zozzo, o, nell'improbabile caso, il profumo di pulito, il biglietto del museo che non è un pezzo di carta ma le cose che ho visto, il conto del ristorante che è il ricordo di una sera.
Lascia stare i miei ricordi! Mica sei Zuck o le altre cricche!
Lascia stare la mia valigia!
Che valigia, una banale valigia, è una parola interessante, per l'etimologia. E' una di quelle che non si sa se l'ho data io a te o l'hai data tu a me. Io sfotto sempre i miei amici spagnoli o francesi, dicendo loro, io napoletana, che sono, nella storia, venuti a Napoli a imparare la lingua, essendo il nostro dialetto pieno di francesismi o spagnolismi (o viceversa). Gli esempi me li riservo per un'altra occasione, ma per la valigia è successa la stessa cosa: con tutti i traffici che ci sono stati, siamo noi che abbiamo insegnato Ualiha agli arabi, o l'abbiamo imparato da loro? 
Stavolta proprio non si sa, l'etimo è incerto (fosse che la lingua è madre e l'etimo è padre? perdona è proprio brutta) le ipotesi tante, e io scelgo quella che mi piace di più, che guarda al val- di valere, poichè in valigia si trasportano i valori (e non solo quelli materiali, come ho detto) ma anche valere nel senso di essere valenti, forti e gagliardi, come devono essere sorprendentemente certe esili fanciulle che ho visto trascinare valigie extra franchigia dopo shopping forsennati. 
Se ti ricordi Plauto che già ti dissi primo a parlare di un medico, lo puoi considerare primo anche per le valigie, che primo parla di un "vidulus", un bagaglio. 
E non dubitare che se la cerchi una radice indoeuropea la trovi: in sanscrito c'è un vhal che sta per fascio (d'erba nella fattispecie, ma poi si sa che le cose si allargano),  ma se preferisci, e forse oggi conviene a loro adeguarsi, puoi guardare ai barbari nordici, e la valigia la fai derivare dal tedesco antico, che dice Fell per pelle di animale (d'altronde, è pellis in latino) e la valigia era di pelle, passi per un Wal o Wel che nella stessa lingua vale viaggio, e arrivi al wallet, il portafoglio inglese, che alla fine i valori stanno tutti lì dentro, un documento e una carta di credito, tutto il resto a che serve, i due stracci che avevi li lasci sul posto, che fai pure la beneficenza che c'hai l'animo buono, e ti risparmi anche il momento più brutto del viaggio.

PS. Sarà una stravaganza, ma tutto questo controllo, di telecamere, carte di credito, tessere del supermercato telefoni televisori e quello che ti pare, proprio mi infastidisce e non non perchè mi mandano la reclame per votare Trump, pensa che mi infastidiva pure la vicina di casa, che mi sono dovuta fare le tendine a filet, per non farle ficcare il naso, e mai avuto niente da nascondere... al massimo mi facevo il caffè in mutande, la mattina.






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