Lo scugnizzo e, se hai pazienza, l'etimo di pertinenza.
Mi raccontano che per tener buono un mio cugino terribile, il nonno lo mettesse seduto davanti a un secchio pieno d'acqua che doveva girare vigorosamente con una mazzarella, un bastoncino. Mio cugino si affannava, girava e rimestava con tutte le sue forze.
"O no'! Nun s'entosta!"
"Gira Ninarie', gira, ce vo' pacienza..."
E Ninariello, scugnizzo, seduto davanti al secchio girava con pacienza per intostare l'acqua.
Che nella vita due cose ci vogliono 'a pacienza e 'a cazzimma. E il napoletano, che è lingua di saggezza, nella pazienza ci mette un po di pace (ma questa non è mia). Pacienza. E sarebbe una bella etimologia.
Nell'etimo vero invece, non c'è né la pace (della amorevole e pedagogica pazienza di mio nonno con Ninariello) né la costanza e l'impegno (del cugino nipote, per confondere le parentele, vero impaziente Galassi, che mi porto avanti col tag, che magari più avanti mi sfugge), c'è solo il patire. Spiego: c'è una radice indoeuropea PAT, che nella forma attiva significa "avere potere", "governare", nella forma passiva "essere soggiogati", "soffrire", "sopportare" che passa al greco pasko e al latino patior portandosi dietro solo sofferenza, sopportazione, rassegnazione e dolore. Passività. Il paziente è nel letto d'ospedale.
Ma la pazienza è passiva o è attiva?
La pazienza, per me, ha a che vedere col tempo, è attesa, durata, ma non è immobile, è solo senza fretta. Non è rassegnata sopportazione, ma è un intervallo sopportabile. Io ci vedo, e se mi mettessi a giocare coi PAT e coi POT te lo dimostrerei, una componente dinamica, un cambiamento, ricercato o quanto meno accettabile, sia nella perseverante applicazione, sia nel fallimento: cercavo un risultato, non è andata così, pazienza, si va avanti lo stesso, con tranquillità. (mi pare ce sempre tranquillità vo cercando, dal piacere alla pazienza)
"O no'! Nun s'entosta!"
"Gira Ninarie', gira, ce vo' pacienza..."
E Ninariello, scugnizzo, seduto davanti al secchio girava con pacienza per intostare l'acqua.
Che nella vita due cose ci vogliono 'a pacienza e 'a cazzimma. E il napoletano, che è lingua di saggezza, nella pazienza ci mette un po di pace (ma questa non è mia). Pacienza. E sarebbe una bella etimologia.
Nell'etimo vero invece, non c'è né la pace (della amorevole e pedagogica pazienza di mio nonno con Ninariello) né la costanza e l'impegno (del cugino nipote, per confondere le parentele, vero impaziente Galassi, che mi porto avanti col tag, che magari più avanti mi sfugge), c'è solo il patire. Spiego: c'è una radice indoeuropea PAT, che nella forma attiva significa "avere potere", "governare", nella forma passiva "essere soggiogati", "soffrire", "sopportare" che passa al greco pasko e al latino patior portandosi dietro solo sofferenza, sopportazione, rassegnazione e dolore. Passività. Il paziente è nel letto d'ospedale.
Ma la pazienza è passiva o è attiva?
La pazienza, per me, ha a che vedere col tempo, è attesa, durata, ma non è immobile, è solo senza fretta. Non è rassegnata sopportazione, ma è un intervallo sopportabile. Io ci vedo, e se mi mettessi a giocare coi PAT e coi POT te lo dimostrerei, una componente dinamica, un cambiamento, ricercato o quanto meno accettabile, sia nella perseverante applicazione, sia nel fallimento: cercavo un risultato, non è andata così, pazienza, si va avanti lo stesso, con tranquillità. (mi pare ce sempre tranquillità vo cercando, dal piacere alla pazienza)
Ninariello, paziente sbatte l'acqua con la mazzarella aspettando che si intosti, sbatte sbatte e non succede niente, poi perde la pazienza e se ne va. Ma intanto si è fatta l'ora che può scendere a giocare. Il nonno gli sfiora appena la testa mentre scappa, poi esce a bagnare i gerani con l'acqua del secchio.
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