La guerra e l'innocenza - almeno una è perduta, anzi due,e almeno una etimologia

Questa te l’ho già raccontata, ma abbi pazienza, mi è funzionale: fino all'età di 4-5 anni mio figlio Tommaso era il meraviglioso risultato di un esperimento di condizionamento operante. Il bambino cavia ragionava correttamente sulle tavole di verità, sapeva le ballerine di Degas, capiva le metafore di Garcia Lorca, leggeva da solo i libri dell'elefante Elmer che andava a prendere in biblioteca con lo zio Marco, e faceva le moltiplicazioni (benedetto quell'unico palazzo che scempiava il paesaggio lungo la strada per la nostra casa in campagna: "mamma se le finestre le conto a due a due faccio prima" "certo, puoi contarle anche a tre e tre" poi la mia aritmetica finiva , e lui è andato avanti da solo)
Poi per fortuna mi è stato sottratto e adesso bestemmia liberamente nei commenti di Fantagazzetta, regalandomi risate per cui gli sono più grata che per i trenta e lode (quelli sono un dovere).
Ma lo formavo anche alla consapevolezza, alla responsabilità civile (a quattro anni, sì) . Erano gli anni della perdita dell’innocenza, la nostra, non quella del bambino cavia, la cui plasticità era sorprendente, erano gli anni delle guerre del golfo e della Jugoslavia. Pesanti aerei neri passavano sulle nostre teste mentre eravamo in spiaggia, fermando la loro ombra sulla nostra coscienza. Noi, la generazione che non aveva mai visto la guerra (per miopia politica, certamente). E gli parlavo della guerra, cercando di suscitare il suo sdegno. E ci riuscivo: “Mamma, io a quelli che fanno la guerra li ammazzerei tutti!”
“Dormi amore, domani leggiamo il Giardino Incantato”
Ma che voleva dirmi, il mio figliolo, che la guerra ce l’abbiamo dentro?
Se segui l’etimologia direi di no, che la guerra non è cosa nostra. E’ roba di tedeschi (ma dai …) WERRA che richiama un barbaro scontro, una mischia selvaggia, un combattimento senza regole, da nordici feroci. Per parte nostra, i nostri padri latini avevano il “bellum” per dire la guerra, con un’etimo fantasiosa da progressio ad contrarium, “si chiama bellum, perché bella cosa non è” e un’etimo più realistica che l’apparenta a duellum, e vuole significare una battaglia tecnicamente organizzata, con regole d’onore. Ma poche palle, padri miei, guerra e onore è sempre un ossimoro. Già i greci, che con tutti i filosofi e i poeti restano per me sempre un po’ caprini, su una terra sassosa dove cresce l’olivo, avevano polemos per guerra, che deriva da pallo, mi scaglio, mi butto nella mischia, parto di capoccia. E c’è da riconoscerlo polemici siamo (io di più, Galassi, senza polemica). Ma la guerra, no, la guerra, senza mezzi termini e senza bisogno di parole la schifiamo (e con lei quelli che hanno violato la nostra verginità, vuoi l’elenco? La ripudiamo, la guerra nella nostra costituzione con e senza la maiuscola e ci piace di più parlare del bellum quando significa bello davvero (come e qualmente lo dico un’altra volta).
E se fosse necessario, a mio figlio insegnerei pure a fa ‘o scemo per non ghi a’ guerra. Non sarà difficile, che è scemo è provato, fa il fantacalcio e bestemmia su Fantagazzetta. Non sarà necessario, sarà già in Svizzera.
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