Dipendenza, velluto e un regalino per Pasqua

Tra le tante cose che mi mettono in difficoltà ci sono, in buona posizione, i questionari a risposta multipla, i test a crocette, insomma.
Non parlo di quelli che si propongono a scuola, sul senso dei quali non mi sono mai intrattenuta con gli insegnanti di mio figlio che talora ci comunicava il buon esito della prova sostenuta.
" Ho preso 8.745", riferiva, e io avrei solo potuto chiedere alla prof, per qualo motivo, come diceva la saggia anima di mio suocero, non accettando una risposta fatta di somma e divisione come buona per noi che in un breve, fantasioso periodo ci eravamo battuti a scuola per il 9 minimo garantito, più sensato del 6 politico, ma ancora un po' troppo modesto se si volevano contestare in toto i criteri di valutazione.
Parlo in generale, di test, indagini di mercato e e rilevazioni, che risulto donna imprenditrice e mi interpellano: di fronte alle scelte proposte, come più in generale di fronte a una domanda, io sono portata a rispondere "dipende". Perchè va bene semplificare, ma così, senza cosiderare contesti, alternative possibilità io non so dirti nemmeno se mi piace la cioccolata. Niente è apodittico, manco a chi devi dare la precedenza, soprattutto se abiti a Velletri, manco quale sia la destra e quale la sinistra che è lateralità e politica, lo sai. Se la risposta è una scelta, rispondere "dipende" propone più scelte, il che può essere un bene o un male, dipende, ma dai, di solito il più è meglio (beh, anche questo dipende...) Dipendere viene evidentemente da pendere, che significa stare sospeso, attaccato a qualcosa che sostiene (il che è rassicurante) e così io mi vedo di fronte a una scelta, come una scimmia sospesa ad un ramo, che penzola e oscilla, valutando su quale ramo sia più conveniente saltare, prima della prossima scelta. Dipende, sto attaccato e scelgo, l'importante alla fine è saltare, scendere, staccarsi.
Pechè poi c'è la dipendenza. Che ci stai attaccato come una sanguetta e questa non c'è dubbio che sia una brutta faccenda, sia essa subalternità a persone, o abitudine a cose, o necessità.
Come ci si libera dalla dipendenza, leggi Wallace e valuta tu. In ogni caso in qualunque percorso di 7, 10, 12 passi per uscirne sempre la tua guida ti parlerà di autocoscienza. Ma su quella sto a posto, già ce l'ho, e te la racconto.
Io lo sapevo che non ci dovevo entrare, che la prima sarebbe stata fatale. Una vita ne ero stata distante, senza necessità, ma ora e in così breve lasso mi ha preso la mano. La prima è stata quella illuminante, ma più che un'illuminazione è stata una folgorazione.
Oh, la soffice crema!
Il piacere del gesto, le dita nel vasetto, il massaggio sul viso, porto in dentro le labbra per tendere la pelle del mento , rinforzo la dose sulle rughe consolatoriamente dette del sorriso, verifico l'assorbimento.
E il risultato, te credo! Sembro una salsiccia nello strutto... quando elimino l'eccesso con l'apposita velina resto lustra e splendente, come i mobili antichi di mamma quando gli do la cera d'api!
Autocoscienza. Sì magari.
Ieri cercavo un dentifricio, ma sul maledetto scaffale ho visto il vasetto azzurro. Era solo tra i verdi rigeneranti e i rosa sensibili. Ma lui, l'azzurro, era VELLUTANTE. E altro che le maddalene dolci e paffute... non è una carezza, una pelle di bimbo, una pesca profumata, no, era il mio vestitino azzurro, con lo jabot di pizzo e i bottoni di perline. Velluto, delicatissimo. Quando io ero piccola il velluto non si lavava in casa, e mia mamma per rinfrescarlo lo metteva appeso esposto al vapore della vasca piena d'acqua bollente. La prima comunione ... Poesia? No, prosaicamente, era in offerta, che era l'ultimo vasetto di crema vellutante con vitamina C e olio di Camelia. Così adesso, mattina e sera mi velluto, e due volte a settimana mi illumino. Dovrei anche purificarmi, prima di vellutarmi. Appena va in offerta, con bardana iperico e acido salicilico, mi depuro. Dipendente sì, ma come dire, oculata.

E l'etimologia fantastica te la regalo in calce, un Easter Egg non troppo nascosto, devi solo aver avuto la pazienza di arrivare in fondo...
Dipende, se potesse, il mio, vorrebbe derivare dalla radice indoeuropea DIP (di+p): purificare (p) con la luce (di), "illuminare", "splendere", da cui il sancrito Dipti "splendore" "bellezza".
Giuro, non l'ho inventato, ho inventato la parentela, che è solo un'assonanza.

Non sarebbe una bellezza, per l'etimologia di una dipendenza da creme di bellezza?


Commenti

  1. Di dipendenze ne ho, a iosa. Non ne saprei scrivere come te. E commento, seppur con pochezza, qui, come si faceva "una volta". Non c'era "Facebbok": a volte mi sembra di ricordare tempi più civili.

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