Cinquanta lire fragola e limone - il gelato gratis e la carezza

Hai voglia a dire il pane olio e sale nella penombra estiva filtrata dalle persiane verdi. O il pane bagnato con lo zucchero, ma senza vino, che ai bambini a casa mia il vino faceva male già  negli anni 60, e al più io mi ciucciavo i fondi delle bottiglie di birra nascosta sotto il tavolo. No, io per merenda volevo la pizza rossa d'inverno, soprattutto la domenica quando le pizzerie erano chiuse (le pizzerie erano chiuse, la domenica!) e il gelato d'estate.
Cinquanta lire, fragola e limone, nella coppetta cerata.
E su questa coppetta di gelato, che lasciavo ammorbidire  e poi giravo forte forte con la palettina per mischiare i colori facendo un papocchio che poi mi bevevo, voglio raccontare il fatterello del giorno.
Detto per inciso, se sono sopravvissuta al colorante fluo del gelato alla fragola, cosa posso temere, per la mia salute?
Su questo aneddoto ho a lungo provato a scrivere una poesia - che saltuariamente mi diletto (ma forse andava al passato) - , con esiti che anche tutta la mia indulgenza non ha potuto che accantonare ( tutto conservo, niente butto, niente ritrovo e guardo con partecipazione certe trasmissioni di RealTime), essendo una storia del cuore, e nelle poesie si mette il cuore, no? Lo racconto quindi in semplice prosa, come premessa ad una etimologia che ha preso il sopravvento.
Ma se la racconto sentimentale, devo dire che sono figlia di emigranti, anconetana per ius culturae ( e come tale conscia delle immense contraddizioni insite: a Pasqua io voglio la pastiera, mica la pizza di Pasqua, che è un panettone sciapo venuto male), e che una volta, una sola volta, venne a trovarci mio nonno, che aveva fatto un sacco di guerre, ma un viaggio mai. Un giorno mi portò, tenendomi per mano, stretta come chi non ha l'abitudine a farlo, a comprare il gelato. Cinquanta lire, fragola e limone. Spalettai la coppetta, mi riprese la mano appiccicosa e ci avviammo al giro della piazza. All'altro lato c'era un altro chiosco. E mi disse "Prendiamone un altro":
Cinquanta lire, fragola e limone.
Mi comprò due gelati, mio nonno, e questo gesto per me ha sempre rappresentato la perfetta gratuità dell'amore, che niente gli avevo chiesto, né avrei voluto chiedere, ne basta uno, un gesto non solo gratuito, ma di grazia, che è una bella parola.
Mi ha insegnato, quel gesto di grazia, che l'amore è il doppio di ciò che ti aspetti, qualcosa che non ti serve e non chiedi, e ti sorprende. Con cinquanta lire di fragola e limone, mi ha dato una lezione gratis.
Ma lo sai che c'è chi crede che gratis, come tutor, sponsor, media, plus, tutti pronunciati con le labbra che fanno ridicoli movimenti da ginnastica facciale antirughe, sia una parola inglese, e si scorda la grazia? Che questo la sai di certo, che parlo sempre delle stesse cose, e tra queste la leggerezza è principe, come aspirazione, e l'etimologia dovuta, anche al gratis, alla grazia: Questa parola piena di gentilezza e leggiadria, se saliamo piano piano, viene dal  greco χάρις, charis, proprio come carezza. Ciò che gratuitamente è offerto è una carezza.

Digressione: non c'entra niente, è un'etimologia inventata, solo un'assonanza, ma carina (da χάρις, pure questa ) per il gelato, che mi è venuta in mente e la dico: in greco il gelos è il riso, il riso di gioia, come quello per un  gelato inaspettato.

Ma se scavo ancora, dalla grazia, arrivo alla radice indoeuropea GR, inghiottire, nel senso di gradito alla gola. E siccome mi è stato detto (a ragione) che sono bacchettona, perchè parlando  qui  della felicità mi sono vergognata di dire che la sua radice fel- è la stessa della fellatio, che pure qualcuno felice l'ha fatto, mi lascio andare e, niente sesso, per carità, che il tema è il gelato,  ma data la radice GR, posso dire che le floride grazie di Rubens la gratificazione golosa, non se la negavano, dai.
Una carezza-





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